Le famose case da tè di Hangzhou sono in Cina, alla vigilia dell’invasione mongola (1271-1368), crocevia di incontro e raduno dei ricchi commercianti e dei funzionari locali o di passaggio, che giungono per impararvi a suonare un nuovo strumento musicale. Non mancano di alcun arredo di lusso, da collezioni di pini e cipressi nani alle opere dei grandi calligrafi, mentre i servizi da tè sono di porcellana fine, i vassoi di lacca, le qualità di tè tra quelle riconosciute più pregiate, servite con accompagnamento di frittelle e in alcuni casi, come nelle estati più calde, con prodotti medicinali, per esempio “contro il calore”[1].

Le case da tè compaiono quali protagoniste anche della letteratura di epoca Ming (1368-1644), come è testimoniato da I ricordi del sogno di Tao’an di Zhang Dai, letterato e funzionario di questa dinastia, che all’età di cinquant’anni visse l’esperienza del passaggio dinastico agli invasori mancesi e preferì ritirarsi sui monti, dove condusse poveramente la fine della esistenza, dedicandosi alla scrittura, piuttosto che sottomettersi ai nuovi regnanti. Nei Ricordi la nostalgia dei fasti di un tempo gli ispira descrizioni vivide e accurate dell’atmosfera delle ricche città del sud percorse dal fiume Han, noto anche come il Gran Canale, la via d’acqua che partendo da Hangzhou giungeva fino a Pechino, o dei ponti di Yangzhou, città della provincia del Jiangsu, nota un tempo per le case di piacere e per le sue belle donne. Sullo sfondo campeggia la scenografia delle case da tè.

“Il fiume Han porta con sé l’atmosfera romantica dei ventiquattro ponti di Yangzhou. (…).

Le lanterne di seta delle case da tè e delle osterie sulla riva del fiume sono centinaia e tutte le prostitute restano fra la luce e la penombra (…). Giovani sfaccendati, visitatori di passaggio vanno e vengono come una spola. Aguzzano lo sguardo, si scambiano occhiate e appena ne vedono una che corrisponde al loro gusto si fanno avanti per portarla con loro e la donna esce rapidamente dal gruppo e con garbo invita il cliente a precederla, mentre lei lo segue lentamente.(…).

Ad una ad una se ne vanno con le lanterne accese. Non ne restano più di venti o trenta. Nella clessidra scendono le ore, lente e profonde della seconda veglia. Le candele nelle lanterne si stanno spegnendo e le case da tè diventano scure e silenziose. I padroni non osano invitare le donne ad andarsene, ma si limitano a fare dei lunghi sbadigli. Raccolti gli spiccioli, le donne comprano dai padroni delle case da tè alcuni pollici di candela per aspettare gli ultimi clienti[2]”.

 Accanto alle case da tè pubbliche ve ne erano naturalmente di private: i letterati, colti e raffinati, della burocrazia celeste avevano all’interno delle proprie abitazioni stanze e ambienti opportunamente adibiti alla preparazione e degustazione del tè. Ancor oggi visitabili sono quelli dei famosi giardini di Suzhou: solitamente circondati da siepi di loto o laghi artificiali in miniatura, accessibili tramite ponti a zig-zag e incorniciati da vaste pareti sulle quali finestre dalle forme insolite di fiori, foglie, di un vaso o di una luna piena, si aprivano ampiamente a lasciar rimirare il paesaggio, frutto sapiente dell’artificio dell’uomo mescolato alle bellezze di natura, avevano arredi essenziali, tra i quali però non poteva mancare un giaciglio per il riposo, un piccolo tavolo con sedie di legno o panchetti di porcellana e gli utensili tradizionali della preparazione del tè, dalla stufa portatile a carbone, al recipiente dell’acqua, a un armadio con scaffalature per riporre gli accessori minuti[3].

Nei padiglioni del tè le classi colte del celeste impero si dedicavano, oltre che alla preparazione della bevanda, ad altri passatempi raffinati e potevano di volta in volta suonare il liuto o fare una partita con scacchi da centosessanta pezzi per ogni giocatore, improvvisare poemi alla luna o bruciare incensi preziosi e risolvere enigmi poetici.

Un altro genere diffuso di casa da tè privata alludeva poi simbolicamente all’ideale di sobrietà ispirato dal Canone di Lu Yu e coltivato dalla religione buddista: il tetto di paglia poggiava su elementi portanti di legno non laccato o di semplice bambù, le pareti di carta fissate su una fragile intelaiatura, ogni elemento d’arredo era essenziale, di legno comune o malacca e ne conservava i colori naturali, dal bianco della carta di riso ai gialli ocre della paglia e del bambù, nei servizi del tè si preferivano le terrecotte alle porcellane dipinte.

            “L’uso del tè come bevanda fu iniziato da Shen Nong, e verso l’epoca del duca di Zhou dello stato di Lu cominciò a essere popolare. Erano bevitori di tè Yan Ying dello stato di Qi, Yang Xiong e Sima Xiangru sotto la dinastia Han, Wei Yao nel regno di Wu. Sotto i Jin ci furono Liu Kun, Zhang Cai, Lu Na (mio lontano antenato), Xie An e Zuo Si, eccetera. L’abitudine di bere il tè è andata diffondendosi nel tempo e si è radicata profondamente nei nostri costumi, fino a conoscere una grande popolarità con la presente dinastia: in entrambe le capitali, e da Jing a Yu, in ogni casa si beve il tè[4]”.

Lu Yu testimonia in questo passo del suo Canone come in epoca Tang l’abitudine di bere il tè fosse ormai ampiamente diffusa: “entrambe le capitali”, cui egli fa riferimento, sono rispettivamente le città di Chang’an, odierna Xi’an, nello Shaanxi, e Luoyang, nello Henan, mentre “da Jing a Yu” indica dallo Hubei al Sichuan, stando Jing per Jingzhou, corrispondente all’attuale contea di Jiangling nello Hubei, e Yu per Yuzhou, corrispondente all’attuale Chongqing nel Sichuan.

Già al tempo dei Tang esistevano case da tè pubbliche, ma fino agli albori dell’ascesa mancese con la denominazione di dinastia Qing questi luoghi erano quasi pressoché riservati ai ceti colti e alle classi ricche, mentre fu durante l’ultima dinastia che la frequentazione delle case da tè si estese a quasi tutte le fasce della popolazione: “a partire dall’alba fin quasi alla mezzanotte, erano frequentate da giovani e da vecchi, alcuni dei quali vi andavano per dissetarsi e mangiare, altri per assaggiare diversi tipi di tè, ma anche per parlare d’affari, concludere accordi, suggellare patti, organizzare matrimoni, incontrare gli amici, ricevere visitatori, annegare i dispiaceri, risolvere le controversie[5]”.

Le abitudini tuttavia differivano da una regione all’altra del Paese e da nord a sud diversificate erano le preferenze sulle qualità e sull’accompagnamento del tè.

A nord la gente beveva  – e beve tuttora – il tè quasi durante tutto l’arco della giornata, ma solo due tipi d’infuso erano veramente diffusi, il tè verde e il tè ai fiori. Questo che i cinesi del nord chiamano huacha 花茶è un tè verde o rosso, mai di qualità superiore, infuso con l’aggiunta di due o tre fiori freschi, a differenza di quello del sud, preparato con infusione di fiori secchi. Nelle case da tè di Pechino veniva servito soltanto tè, con l’accompagnamento di piattini di semi di melone o arachidi e mai con l’aggiunta di più elaborate pietanze. Una casa da tè particolarmente famosa era il cosiddetto Padiglione della Nuvola Verde, nei pressi del Tempio della dea Guanyin: tra le specialità che vi si servivano è noto il tè “Dea Ferrea della Misericordia” (Tie Guanyin 铁观音), proveniente dalle piantagioni del monte Wu Yi, nel Fujian. Alla sua eleganza aristocratica facevano da contrappunto le case del Ponte delle delizie, il quartiere cittadino dei divertimenti, ove, accanto alle esibizioni dei cantastorie e degli acrobati, si poteva consumare un tè ordinario o addirittura quello del proprio pacchetto, portato da casa, al costo della sola infusione: il tè qui più richiesto era quello degli “avanzi illustri”, una miscela di scarti delle qualità pregiate.

La vera culla del tè, dai Tang ai Qing, è sempre stata però la Cina sud-orientale: i tè migliori provenivano dai giardini delle province del Jiangsu, del Zhejiang e del Fujian, ove pure si trovavano le più belle case da tè. Già dall’epoca Song la Cina del Sud aveva di gran lungo superato il nord nella raffinatezza dei costumi e nel primato delle produzioni culturali, dal momento che tutta l’area settentrionale del Paese era altrimenti impegnata a difendersi dalle continue incursioni delle tribù straniere che premevano oltre la Grande Muraglia e avevano insediato a più riprese dinastie indipendenti nella regione del fiume Giallo, fino a conquistare per ben due volte, nella storia dinastica dell’Impero, l’intero territorio, dando così origine alle dinastie Yuan (mongola) e Qing (mancese).

Della Cina del sud-est si ricordano in particolare le case di Yangzhou e Suzhou, con le loro costruzioni a uno o più piani e i deliziosi giardini circostanti: poiché Yangzhou si affaccia su un lago e Suzhou è percorsa da un dedalo di corsi d’acqua, in entrambe le città le case da tè si affacciavano su pittoreschi paesaggi acquatici, con i loro battelli dei divertimenti, oltre siepi di cespugli di salici.

Ad Hangzhou si servivano tè di un bel color verde-pallido, che conservavano tutta la loro freschezza, perché raccolti sul posto e subito infusi: da Hangzhou proviene infatti il più famoso dei tè verdi, il Long Jing 龙井(Fonte del Drago), che nelle case da tè della città veniva preparato con l’acqua della vicina Sorgente della Tigre, considerata il complemento ideale di questo grande tè.

Nelle province centrali, nel cuore di remoti monasteri buddisti, le abitudini intorno alla consumazione del tè potevano differire non poco rispetto ai raffinati costumi urbani: grandi ciotole poste davanti ai viaggiatori che sostavano per una pausa di ristoro potevano contenere un liquido rossastro, di colore e aspetto molto differenti dal delicato infuso pallido e paglierino dei tè di Hangzhou, nel quale galleggiavano presenze dall’aspetto solido. Poteva trattarsi infatti di una ghiotta specialità hunanese: foglie di tè bollite con “fagioli dei cinque gusti”, aromatizzati cioè con spezie dei cinque sapori, dolci, aspre, amare, piccanti e salate.

Ma fu infine lo stile delle case del sud a diffondersi in tutto il mondo, attraverso l’influenza dell’isola di Hong Kong, e infatti in numerosi paesi esistono oggi ristoranti cinesi che all’ora di colazione servono tè e spuntini, dal nome cantonese di dimsum, come quelli delle case da tè.

Nel costume cantonese, le case da tè si sviluppavano sempre su piani differenti, più importanti nel servizio e costosi nel prezzo man mano che si accedeva gradualmente all’ultimo piano, riservato solo ai clienti più facoltosi e arredato con mobili di lacca nera intarsiata con il famoso marmo marezzato dali(大理石).

Tratto da Sportelli M. (2015), Il Tè. Ricette, tradizioni e storia, Xenia, Milano, pp. 21-25

Nota dell’autrice
Ma quale posto occupa il tè oggi nella vita dei cinesi? Può considerarsi tuttora indiscussa bevanda nazionale o nuovi gusti e differenti abitudini sono destinate a far tramontare per sempre il gusto semplice e l’umiltà del tè?
E se gli anni 80 e 90 del Novecento sono stati l’epoca della coca-cola, quale spazio ha conquistato oggi il vino e quale gli è riservato nel futuro, tra le preferenze dei consumatori cinesi?
A questa domanda risponderemo con nuove pubblicazioni, seminari e studi.

[1] Gernet, Jacques (1983), La vita quotidiana in Cina alla vigilia dell’invasione mongola, Rizzoli, Milano, p. 56.
[2] Zhang Dai, I ricordi del sogno di Tao’an, trad. in  Bertuccioli, Giuliano (1988), Mandarini e cortigiane, Editori Riuniti/Albatros, Roma, pp. 30-31.
[3] Blofeld, J.(1985), The Chinese Art of Tea, George Allen and Unwin Ltd., London, p. 59.
[4] Lu Yu, cap. III, par. 6, trad. da Ceresa M. (1990), Il Canone del Tè, Leonardo Editore, Milano, p. 129.
[5] Blofeld, J., op. cit., p. 61.

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